Per quello che sono andata comprendendo nel corso degli anni spesi a contatto con le popolazioni indigene dell’Amazzonia peruviana, il modo in cui loro parlano della medicina delle piante è molto diverso da ciò a cui siamo abituati noi occidentali.
Se penso ad esempio alla nostra tradizione erboristica, per quanto sofisticata possa essere, anche quando si spinge molto verso i reami della spiritualità (penso ad esempio alla spagiria o alla tradizione alchemica), il modo di considerare le proprietà curative delle piante segue l’impronta della medicina allopatica. Quando abbiamo un malessere e vogliamo curarci con le piante, consultiamo un prontuario di erbe e rimedi che sono indicati per quel malessere: questa pianta serve a quello, quell’altra a questo. Quando ho mal di denti posso fare un impacco con le foglie di tale piante, per problemi respiratori c’è tal altra ricetta che comprende certe altre piante e via dicendo.
Anche quando si usano le essenze più spirituali della pianta, come appunto nel caso della spagiria o dell’alchimia – dove si lavora con le quintessenze – o nel caso dei fiori di bach in cui si lavora con l’essenza energetica dei fiori, questa sorta di “meccanicità” nella prescrizione resta sempre.
Perdonate le brutta parola ma non me ne viene una migliore. Con meccanicità intendo che, per quanto energetico, spirituale o meramente fisico sia l’accostamento tra pianta e malessere, questo ha sempre dietro un paradigma causa-effetto predeterminata: ho un malessere e a quello abbino una serie di piante e di rimedi che sono adatti a curarlo.
Perlopiù inoltre, la giustificazione del perché un tale rimedio serve a una tale malattia viene solitamente trovata nei principi attivi che di volta in volta la scienza va scoprendo nei rimedi tradizionali, un tempo legittimati solo per il passaparola popolare e per la loro efficacia empirica.
L’abilità e la sapienza di un erborista, di un mago o di un alchimista in questo caso è quindi quella di conoscere le varie ricette, conoscere cosa la tradizione prescrive e tramanda, quali piante si usano per cosa, e come. Ed è una conoscenza senz’altro utile e preziosa, e meno male che qualcuno si è preso la briga di tramandarla e di conservarla. Ma nella tradizione dei popoli della foresta amazzonica, per lo meno quella che io ho potuto vivere, il concetto di medicina delle piante è un pò diverso.
Il mio maestro shipibo diceva…
Ricordo un giorno in cui i miei maestri Shipibo erano riuniti in circolo al termine di un ritiro di quindici giorni organizzato per una comitiva di russi. Era il momento dei saluti ma anche di condivisione, in cui le persone erano incoraggiate a fare domande e a chiedere spiegazioni. Tutti si erano sottoposti a un periodo di dieta durante la loro permanenza, e la pianta che avevano dietato era stata il Piñon colorado per alcuni e l’Icoja (Vari rao) per altri.
A un certo punto le persone cominciarono a fare domande su a cosa servissero le diverse piante che avevano dietato, o altre di cui avevano sentito parlare durante la loro permanenza. Oppure all’inverso, cosa si potesse assumere in caso di quella o questa malattia.
Ricordo lo smarrimento della comitiva quando, praticamente per ogni pianta su cui venivano interrogati, gli Shipibo rispondevano quasi sempre nella stessa maniera: «Questa pianta serve per dare vigore al corpo, si può usare per abbassare la febbre, per combattere le infiammazioni, per i dolori di stomaco e di tutto l’apparato digerente…»
E poi venivano interrogati sulle proprietà di un’altra pianta, e la risposta era: «Questa pianta ha un grande potere, può curare praticamente ogni male, si usa per curare le infiammazioni, il mal di testa, i dolori articolari, il mal di pancia…», diverse parole ma che in sostanza volevano dire la stessa cosa.
E gli stessi Shipibo sembravano smarriti di fronte a quelle domande tanto specifiche, e ogni volta cercavano di andare con la memoria alla ricerca delle parole giuste da dire, ma non dando molta importanza a quel genere di prontuario medico.
Per loro infatti il concetto di “medicina della pianta” è molto diverso dal nostro.
La pianta senza dieta non cura, anzi, può fare peggio
Innanzitutto la pianta senza la dieta non cura. Anzi, loro dicono che se tu bevi il rimedio senza dietare, a lungo andare la pianta può anche farti male invece che bene. Ricordo zio Alberto che mi raccontava di una donna che per tutta la vita continuava a bere Piñon colorado senza dietare, e ora nelle vecchiaia era tutta storta e dolorante.
Secondariamente poi la pianta, quando viene dietata, ha un’azione sinergica su tutto il sistema corpo-mente-spirito che esula dal singolo organo interessato dalla malattia. La stessa pianta può servire a curare una cosa in una persona e una cosa totalmente diverse in un’altra. La prescrizione infatti della cura, ovvero della pianta da dietare, non viene mai fatta a priori, seguendo regole di qualsivoglia natura, ma la pianta “arriva”, in sogno o in visione, o in qualsiasi altra modalità non razionale.
L’unico sistema di medicina in cui ho sentito applicare un principio simile è quella ispirata da Rudolf Stainer, in cui, secondo quanto mi è stato raccontato, il medico prima di prescrivere una qualsiasi cura, dopo il primo incontro con il paziente, aspetta di ricevere istruzioni dai reami dello spirito.
Questo ha un senso se pensiamo che non sempre il sintomo visibile e immediato è l’espressione diretta del nostro malessere. Magari il nostro sistema si è talmente compromesso nel tempo che il sintomo è sfociato nello stomaco, ma il nostro reale problema risiede da tutt’altra parte. In questo caso il mondo spirituale, che ha una visione molto più vasta rispetto alla nostra piccola mente vigile, conosce meglio di noi tutto questo, e ci ispira la cura più adatta, anche senza bisogno di farci conoscere tutto il perché e il per come.
Questa abilità viene acquisita dai maestri curanderi attraverso le diete, nel corso del tempo con l’approfondirsi delle diete si approfondisce il rapporto che il curandero istaura con il mondo spirituale vegetale, e quindi anche la capacità che egli ha di chiedere ai suoi alleati vegetali consiglio e indirizzo.
Certo, esistono ugualmente delle indicazioni di massima, ed esistono dei prontuari anche nella tradizione degli indigeni: ci sono piante e tisane che curano il mal di stomaco o i calcoli renali, lattici di certe piante che vengono usati per cicatrizzare e disinfettare le ferite, e cose di questo genere. La conoscenza “erboristica” – chiamiamola così – non è affatto sottovalutata, e non è certamente da sottovalutare, è preziossissima!
Ma l’apporto di tipo spirituale e intuitivo che questa tradizione offre è secondo me la parte più interessante di tutto il loro sistema di cura. C’era il nostro caro abuelo, l’anziano medico che ci ha tenuti sotto la sua ala protettiva fino alla sua morte, che diceva sempre: «Qualsiasi grande albero è medicina, e i grandi palos sono così potenti che possono curare praticamente ogni cosa».
Questo anche perché il concetto di cura non si limita al piano fisico, quindi della pianta non si valutano solo gli effetti dovuti ai principi attivi contenuti nelle sue foglie o nel suo tronco, nei frutti o nei fiori, ma si considera prima di tutto il suo valore spirituale, la sua capacità di difendere dagli attacchi delle energie oscure e quindi di liberare il paziente dalla sua infermità, che è sempre vista come causata da agenti “patogeni” energetico-spiritualil, prima che fisici. Ma questo è un altro argomento che tratterò separatamente, per non far diventare questo post troppo lungo e noioso.
Qui voglio solo concludere dicendo che per questi motivi dietare le piante è così importante nella tradizione amazzonica, perché è attraverso la dieta che si stabilisce il contatto con il mondo vegetale, con gli esseri spirituali che le piante rappresentano, e attraverso i quali si può quindi ricevere la cura. Quando il collegamento è ben stabilito infatti, e abbiamo ben chiaro in cosa consiste il processo della dieta, possiamo anche a nostra volta ricevere l’intuizione su quali sono le piante che possono curarci, diventando così medici di noi stessi.